Ecco i racconti dei premiati.
Sassari di Leonardo Taddei (Bugiardino d’oro)
Un assordante sibilo accompagnò la brusca frenata del treno. Quando le porte
si aprirono, molti pensarono ad una collisione.
“Giovanotti! Esigo di parla’ subito co’i’ capotreno”, esclamò Saverio.
L’anziano, visibilmente provato, tentò invano di rivolgersi agli agenti, che con
noncuranza lo strattonarono giù dal convoglio insieme agli altri.
“Nonno, smettila. Sta’ zitto!” lo rimproverò il nipote a denti stretti, mentre lo
aiutava a rialzarsi da terra.
“Ma Gianni, icché tu dici? Gli’è un monte che siamo in viaggio, e fa un cardo”,
esplose, scrollandosi la polvere dal vestito con la mano tremante
d’insofferenza, mentre controllava i graffi sul suo bastone in legno. “Ma poi,
siamo un reggimento lì dentro. E ‘un siamo mi’a bestie, oh? Io ‘un ce la fo più:
ho bisogno di famm’una doccia”.
“No!” sbottò Gianni.
Subito si guardò intorno, per assicurarsi di non aver attirato l’attenzione delle
guardie, ma, in tutta quella confusione, solo un bambino mezzo svestito li
stava osservando con il naso colante e la faccia imbronciata.
“Se ti chiedano di fa’ la doccia, tu gli de’i di’ di no! Capito?!?”, proseguì
perentorio.
“O pe’icché?” chiese Saverio, candidamente.
“Perché no!” ribatté il nipote.
“Va bene, ‘un la fo. ‘Un t’agitare!” tentò di discolparsi l’anziano. “Che poi q’esti
poliziotti io e ‘un l’intendo. ‘Un so icché parlino, ma per me gli’è arabo. Sai, io
ho la terz’elementare, e ‘un so’ mai sorti’o da i’ mi’ paesino, ma mi pare’a che
pe’ arriva’ a Sassari e ci fosse da passa’ ‘i mare. O che costruonno ‘i ponte?”
chiese l’uomo, ingenuamente, puntando con la sommità del bastone il colletto
di uno dei gendarmi in lontananza, sul quale era cucita la doppia lettera SS.
“Sì, nonno” gli rispose il nipote a stento, tentando di abbozzare almeno un
mezzo sorriso. “Ci portan’a Sassari.”
LA VERITÀ SULL’INFERNO DI DANTE di Guido Carretta (Bugiardino d’argento)
(Mirate la dottrina che s’asconde / sotto il velame de li versi strani)
È uno dei viaggi più famosi della letteratura, ma è una bugia.
Quello che Dante chiama Inferno è in realtà la sede dell’INPS di Firenze, dove il poeta si è recato per una richiesta di pensione anticipata, essendo egli ancor troppo giovane (Nel mezzo del camin di nostra vita…) per quella di anzianità.
All’ingresso Dante trova un bonario usciere (Caron dimonio con gli occhi di bragia), incaricato di smistare con una parola gentile i visitatori (Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate!).
Il poeta non comprende bene le indicazioni ricevute (I’ credo ch’ei credette ch’io credesse..) e chiede consiglio ai presenti, ricevendone risposte contrastanti (Per me si va nella città dolente… per me si va ne l’etterno dolore… per me si va tra la perduta gente…).
Disorientato Dante prova in diversi uffici.
Naturalmente l’ascensore è guasto (Com’è duro calle / lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale).
Aprendo una porta a caso sorprende il rag.Ugolino che sta mangiando un toast farcito (La bocca sollevò dal fiero pasto).
Alla fine giunge all’ufficio del Direttore Generale, il dott. Farinata (Vedi la’ Farinata che s’è dritto). Lo trova seduto dietro la scrivania (Dalla cintola in su tutto ‘l vedrai).
Farinata gli comunica che la sua richiesta è stata respinta. Dante chiede chi abbia dato quel parere negativo (Colui / che fece per viltade il gran rifiuto), ma viene congedato piuttosto sgarbatamente (Vuolsi così, colà dove si puote/ ciò che si vuole, e più non dimandare) e pure spernacchiato (Ed elli avea del cul fatto trombetta).
Il poeta rimane un po’ deluso (Ambo le man per lo dolor mi morsi), e accusa un lieve malore (E caddi, come corpo morto cade). Quando esce è già notte fonda (Et quindi uscimmo, a riveder le stelle).
Per consolarsi va fuori a cena (Poscia, più che ‘l dolor, potè ‘l digiuno).
I TRENI DELLA VITA di Giulia Venturi (Bugiardino di Bronzo)
In un giorno di un inverno lontano, alla stazione di Pracchia, una signora vestita di nero sostava con gli occhi intenti sulle gelide rotaie. Io ero piccola e giocavo a guardare i treni correre nel mio mondo di pensieri colorati. Lei mi sorrise con una strana saggezza che le vibrava negli occhi lucidi di malinconia; mi fece accomodare sulla panchina umida e mi raccontò che veniva da una profonda tristezza. Mi disse che questa volta avrebbe desiderato tanto scendere alla stazione della felicità, ma che i treni erano strani, non si sapeva mai dove conducessero quando ci salivi sopra. Saresti potuto finire nella nostalgia e allora tutto sarebbe sfumato in un pallido grigio e avresti vagato per molto in cerca di qualcosa di irrimediabilmente perduto. Saresti potuto scendere nell’euforia e allora ogni cosa si sarebbe agitata in una danza armoniosa di luci abbacinanti e tonalità vivaci. Saresti potuto arrivare nella noia e allora tutto si sarebbe spento in un pallore sonnolento e indolente. Comunque, mai fermarsi troppo in una stazione mi disse conosco un caro amico che è sceso nel dolore e non è più ripartito; ora piange così tanto che non vede più i treni che gli passano accanto, credo che rimarrà lì per sempre, aggiunse con un’espressione amareggiata. Allora un campanello iniziò a trillare insistente. Ecco, sta arrivando, esclamò afferrando il suo piccolo bagaglio d’esperienza. Prima che se ne andasse le chiesi quando sarebbe passato il mio treno; lei sorrise e mi disse che non lo sapeva, ma mi raccomandò di stare in guardia, era certa che sarebbe arrivato, perché prima o poi un treno arriva sempre.
PRIMA O POI…CI SI RITROVA di Nicola Buoso (Premio popolare)
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L’autoveicolo si fermò, l’autista abbassò il finestrino e chiese loro: <>.
<>, risposero all’unisono.
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I due guardarono dentro il carro funebre, la bara era aperta e senza il coperchio, al suo interno, un enorme pesce di cartapesta dipinto con colori sgargianti sembrava osservarli.
Nino ed Elio esclamarono insieme: <>.
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